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Mi chiamo Tarisai

Vivo in una foresta del centro africa. Ogni mattina prima dell’alba ci alziamo presto, facciamo colazione con farina di sorgo e acqua e partiamo per un lungo cammino nella foresta, quando piove ci copriamo con lunghe foglie di banana. Raggiungiamo degli enormi buchi dove scendo con miei figli a spaccare pietre, a circa 15 metri sotto terra e ai più piccoli racconto che stiamo facendo un gioco, “una caccia al tesoro”.

Noi portiamo su polvere nera in cambio di riso e farina. La sera, ceniamo con foglie di manioca e radici macinate cotte. Quando non abbiamo altro, ci arrampichiamo sugli alberi per raccogliere frutta; come la papaia, ananas, avocado o banane.

Mi raccontano che senza il nostro prezioso minerale nei paesi ricchi non potrebbero ne viaggiare ne comunicare, ma francamente non capisco perché, a noi servono solo piedi per camminare e bocca per parlare, non pietre.

Ho chiesto a mio zio e mi ha detto che quello che raccogliamo si chiamano Cø|tåπ e vengono comprate da commercianti da tutto il mondo disposti a tutto pur di averlo e che il nostro prezioso minerale serve per far funzionare macchine elettriche, telefonini e giochi chiamati playstation. Personalmente non li ho mai visti funzionanti, a parte nelle discariche del porto che dai paesi industrializzati ci rimandano indietro in abbondanza con le loro navi. Il mio desiderio; è avere una casa che non frana sotto le piogge torrenziali, una scuola per i miei figli e un vestito nuovo colorato. Mi chiamo Tarisai. (da una lettera scritta con i pigmenti della terra)




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